LE MUTANDE

15/20 settembre 2015

ore 21.00

Fabbricone

 

Carl Sternheim è riconosciuto, insieme a Bertolt Brecht, come uno dei maggiori drammaturghi tedeschi del ‘900. Le sue commedie sono satire taglienti della borghesia benpensante e del proletariato in ascesa all’epoca dell’impero di Guglielmo II.
Le mutande, scritto nel 1908, è il primo testo di una tetralogia che comprende anche Lo snob, 1913 e Il fossile. Attraverso questo ciclo, Sternheim racconta la storia della famiglia Maske, che partendo da una condizione impiegatizia piccolo-borghese giungerà nelle generazioni a guidare un impero industriale in grado di decidere le sorti della Germania e dell’Europa.

L’importanza dell’opera di Sternheim nella storia del teatro tedesco del XX secolo non ha equivalenti; le condizioni da cui partiva erano quelle di una società impenetrabile da ogni alito di poesia, incapace di qualsiasi autoanalisi. Lo stesso Sternheim scrive a proposito de Le mutande: "Quando nel 1908 pubblicai una commedia borghese il teatro tedesco, sulla scia del naturalismo di Gerhart Hauptmann, conosceva solo la mascherata del vecchio re delle favole, della giovane regina, del paggio che, sotto numerosi travestimenti, facevano rientrare il romanticismo dalla finestra; lontani dalla realtà, in costumi sontuosi, le loro parole esprimevano splendore e agivano solo in modo sublime. Nel mio lavoro, la moglie di un borghese perdeva le mutande; sulla scena, in un tedesco spoglio, si parlava solo di questo fatto banale."

Ne Le mutande è un evento buffo ma tragico ad aprire la storia. La signora Luise Maske perde le mutande durante la parata dell’imperatore. Le reazioni all’incidente del marito Teobald Maske, della vicina sig.na Deuter, del sig. Scarron e del sig. Mandelstam, due uomini attratti dal fascino di Luise, tra morbosa curiosità e perversa fantasia, tratteggiano profili inquietanti di personaggi che in nuce anticipano il carattere di coloro che diventeranno i protagonisti dei grandi poteri industriali che sorreggeranno il nazismo.

I protagonisti di questo mondo sono determinati a lottare con eroica passione, attingendo al corredo originario delle proprie energie contro le resistenze sociali. Sono rappresentanti di quella maggioranza silenziosa orgogliosamente anonima e comodamente lontana dalle prime linee, che dietro la maschera dell’anonimato e della modestia protegge la realizzazione di una scalata sociale, che Sternheim interpreta non come semplice obbiettivo nella vita dei suoi personaggi, ma come significato unico della loro esistenza.

C’è l’assenza dell’amore, non ci sono sogni, non c’è utopia; è il trionfo dell’assenza dell’amore, che nel testo si articola nel trionfo del machismo intellettuale, espresso dall’annichilimento della natura sognatrice di Luise, per causa e ad opera della ferocia opportunistica degli altri personaggi. La vita scorre in occasioni di utilizzazione gli uni degli altri, qualcuno più furbo può certificare il suo successo riuscendo a farsi due soldi: se i presupposti, che Sternheim registrava più di un secolo fa, sono questi, le catastrofi della nostra società ne sono la conseguenza.

Non è vaudeville questo testo, come già l’autore ribadiva ai suoi contemporanei, Sternheim è più triste di Brecht: con audacia, durezza, acutezza che oggi ancora riescono a stupirci e che a suo tempo dovettero sembrare inverosimili, Sternheim assale la figura nuova del suo tempo, il borghese, che leggendo nella poltrona trapuntata storie di serpenti di mare si preparava alla partenza giubilante della guerra del ‘14, del parvenu che avrebbe identificato l’etica con l’ascesa sociale fondata sul denaro. Ci offre la propria realtà contemporanea non preoccupandosi di renderla masticabile, ci butta al centro dell’azione obbligando la realtà a presentarsi senza essere annunciata.

Per farlo il linguaggio naturalista risulta insufficiente, Sternheim distorce il naturalismo, progressivamente lo deforma attraverso momenti epilettici, compressioni ed esplosioni, inventa un linguaggio nuovo che oggi riconosciamo come minimalista, fatto di brevi, atroci, idiote battute che trasmettono il sapore del paradosso della vita.

Luca Cortina

di CARL STERNHEIM
traduzione Giorgio Zampa
dramaturg Paolo Magelli
regia LUCA CORTINA
scene e costumi Lorenzo Banci
luci Roberto Innocenti
assistente alla regia Giulia Barni

con VALENTINA BANCI, FABIO MASCAGNI, ELISA CECILIA LANGONE, FRANCESCO BORCHI, FULVIO CAUTERUCCIO

produzione Teatro Metastasio di Prato

PRIMA NAZIONALE

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20.09 / 2015

DURATA 120' con intervallo

Biglietti in vendita a partire dal 4 settembre 2015

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